Questo e' il problema.
Ieri ho passato un'ora al telefono con mia sorella parlando di questa impressione che ho da anni, tanti sono quelli che ho passato all'estero e che riguarda la percezione del se' e la percezione dell'altro nel momento in cui ci si esprime in una lingua altra rispetto alla propria. Oggi Nemo presenta un post che affronta la questione e non mi bastava un commento per rispondere (e poi non ho risolto il problema dei commenti, uffa!).
Il linguaggio ha una capacita' costruttiva in senso materiale: parlando costruiamo intorno a noi edifici di parole che creano un'immagine precisa di quello che diciamo e di noi. Gia' la scelta di un tema e poi dei vocaboli, da' un'idea di chi siamo; il nostro accento, dialettale o meno, i difetti di pronuncia e infine il senso di quello diciamo, il senso immediato e il senso nascosto, il sottotesto che si compone attraverso la rielaborazione di tutte le informazioni messe a nostra disposizione e poi filtrate attraverso il nostro sostrato culturale e anche una buona dose di inconscio. Pensate alle persone che avete intorno e a come parlano, e' o non e' il loro modo di parlare uno specchio, se volete non esaustivo ma pure preciso di loro stessi? Perche' il linguaggio si forma con noi, ci porta sempre un po' piu' in la' nella crescita: acquisendolo da piccoli, conquistiamo la prima forma di indipendenza e quindi la capacita' comunicativa; poi nell'eta' scolare, forgia le nostre capacita' espressive e sul lavoro ad esempio quelle diplomatiche; in famiglia e nelle relazioni, quelle relazionali e cosi' via.
Provate ora a concentrarvi su questo splendido castello messo su in anni di crescita, un'ossatura-impalcatura linguistica che vi sostiene e vi da' sicurezza perche' in quella vi riconoscete.
Cosa significa perderla? Cosa comporta farne a meno? Come si compensa questa mancanza? Cosa ne esce di noi? Che immagine restituiamo?
Non e' la prima volta che parlo di questo argomento perche' per me ha un'importanza primaria.
Io non sono io quando parlo in tedesco. Almeno identificando il mio 'io' in quello italofono.
Di questo sono certa e nemmeno quando parlo inglese o francese o spagnolo. E chi sono io allora? Di me passa tutto il non verbale, che gia' e' qualcosa, ma anche il non verbale e' condizionato dal verbale, perche' quando ci si esprime e si hanno per qualche motivo, difficolta' linguistiche, il corpo esprime il nostro disagio e quello che viene percepito e' un'immagine di insicurezza che pero' non avrebbe niente a che vedere con la realta': quello che volevate dire e' chiaro e completo nella testa ma rielaborato in un'altra lingua subisce inevitabili trasformazioni, da un primo processo di semplificazione, se va bene, a un possibile impoverimento, a interruzioni, pause non idonee a balbettii e nei casi peggiori, arriva al silenzio, ossia al fallimento del tentativo. Accantonando la terribile frustrazione che si prova, che gia' di per se' e' motivo di scoraggiamento, rifletto su quanto distorta e' l'idea che ho dato di me.
L'anno scorso a un workshop sulla tecnica Alexander che conosco abbastanza, volevo intervenire, partecipare e l'ho fatto, perche' io sono cosi', spontanea, ma sono sicura che di quel che intendevo comunicare sia passato un 30% massimo di contenuti. Io so cosa so e cosa volevo dire ma cio' che non e' detto, o non e' detto come si deve, non e' detto, o al massimo, e' detto male e nella migliore delle ipotesi, e' detto senza appeal e specie chi non ti conosce, non avra' certo potuto intuirlo tutto quello che ti passava per la testa davvero.
Pensate a un attore che si dimentica la parte nel bel mezzo di un monologo e avrete il paragone giusto. Eppure le parole del monologo sono bellissime. Pensate ora invece, a quanto e' affascinante la parola detta bene.
Quando si vive all'estero ci si scontra a pelle nuda e molle con le sana e robusta ossatura di chi qui ci vive da sempre e magari non ha mai pensato a quanto sia difficile farne a meno.
Ne nasce incomprensione, sottovalutazione e nei casi peggiori emarginazione. Triste ma vero.
Poi ci sono le storie belle, dei piu' forse, che lottando hanno piallato quello scalino e ora non lo sentono piu'. Ma quanta fatica costa arrivare la'?
3 commenti:
pienamente ragione, la lingua da mezzo di comunicazione diventa (ad un certo livello, chiaramente, non basic tipo Biscardi...) un nucleo comunicativo, a sè, con le sue regole che ci modificano la percezione della realtà!
pensa alle Redewendungen, ai generi stessi delle parole.. in tedesco!
io lo dico sempre ai non germanofili: l'idea che MOND sia maschile, SONNE femminile TOD maschile crea un approccio diverso alla vita stessa, altro che DUDEN ! :-)
Grazie Elisen per la citazione e per aver ripreso l'argomento. E' qualcosa a cui penso spesso ultimamente, sia perche' vivo sempre piu' in un ambiente dove la maggior parte delle persone che frequento non sono ne' inglesi ne' italiane, sia perche' molte coppie di amici non condividono la lingua (e mi chiedo se ci perdono qualcosa), sia perche' sul lavoro secondo me ci prendono a volte un po' per scemi, soprattutto qua in UK dove sono pochini quelli che si sono mai confrontati con l'impegno di imparare una lingua straniera
è verissimo quello che dici, ma proprio perché vero... a volte è anche "bello" per certe persone, questa cosa.
vivo all'estero, in un posto dove si parla tedesco (che non ho ancora imparato) e uso l'inglese per il resto del tempo (a lavoro e fuori) e... bene, per me è come costruire una nuova me. vero, come dici tu, "non sono io", non sono la stessa "me" di quando parla in italiano e in particolare in Italia... ma questo per me è molto affascinante. è come avere una seconda me, e una terza che sta per nascere etc. e oltretutto questo scoprire nuove lingue e nuove mentalità è molto affascinante. ora poi, con internet, non si può più dire che ti manca la tua lingua, basta collegarti a skype e tutti i tuoi parenti e amici possono offrirti una chiacchierata all'istante.
il fatto che poi sia difficile e lungo imparare perfettamente altre lingue e sentirsi di nuovo perfettamente a proprio agio in ogni situazione e momento parlandole... beh, è un lungo percorso e faticoso, concordo.
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