« Preferisco un fallimento alle mie condizioni che un successo alle condizioni altrui »

(da "Tom Waits, Blues" di C. Chianura)

26 marzo 2012

L'OPPORTUNITA' DI RICOMINCIARE

The question e' cosi' vasta e poliedrica che certo un post non la esaurisce e quindi mi permetto un'ulteriore riflessione sull'argomento visto che anche i commenti ricevuti, indicano questa direzione. Certo ricominciare da capo in un nuovo paese e' un'opportunita' eccezionale che io per prima, ho colto, trasferendomi a Dallas anni fa. Avevo entusiasmo da vendere, voglia di scoprire, curiosita' per tutto; mi sentivo come una spugna pronta ad assorbire tutto cio' che di utile mi si parava davanti per farne tesoro, come l'abc della mia nuova vita. Quell'esperienza e' durata circa due anni e credo sia stato il tempo giusto per capitalizzarla al massimo senza risvolti negativi. In Germania ci sono venuta piu' per forza che per scelta. Anche se rimane un libero arbitrio di fondo, non si puo' dire di aver veramente scelto quando non si aveva sul piatto granche' da scegliere...Insomma e' stato un po' come scegliere tra una minestra che proprio non e' il massimo o niente, che puo' al massimo significare uscire, fare la spesa e vedere di crearsi una nuova alternativa con il rischio di non trovare niente e di perdere anche quel piatto caldo e sicuro che avevi gia' davanti. Difficile scegliere l'incerto per il certo, considerando che la persona che ti porta alla decisione, vede in quella scelta un 'certo' che gli piace. Come donna credo di avere una marcia in piu' in termini di predisposizione al sacrificio e se tornassi indietro lo rifarei pure, pero' ora ho bisogno di capire meglio quali sono le mie prospettive in questo paese e da dove posso cominciare a costruire in verticale. Il problema della lingua si sente all'inizio di un'esperienza, quando si e' del tutto impacciati e dopo un po' di anni, quando si vede ancora alto lo scalino che nel frattempo si e' andato sostanziando di tutte le scoperte fatte riguardo alle differenze culturali. Differenza e' ricchezza, vero.
Le cose migliori nascono dalla contaminazione, vero.
L'interculturalita' e' stimolante, anche vero.
Tutto vero, pero' a scapito di altro, ossia la perdita inevitabile di parte del se'. Ammetendo infatti che l'emigrato si adoperi con ogni sforzo per integrarsi, risultera' negli anni molto diverso da quella stessa persona rimasta in terra natia. Cosa ha dovuto fare? Informarsi, imparare, mescolarsi. A 360'. Chi di voi ha presente il (proto)tipo, ci rifletta. (I figli di questa generazione spesso non parlano nemmeno la lingua di origine.) Ma per arrivare a volere sacrificarsi e cambiare, si ha bisogno di un motivo; spesso amoroso: abbiamo tutti amici che si sono trasferiti all'estero per seguire l'amore straniero; altre volte lavorativo e anche qui la motivazione sostiene la persona anche nei momenti piu' difficili; altre volte e' la voglia di cambiare, come lo e' stato per me. Ho preso al volo la decisione di chi mi stava vicino e sono salita sul suo treno pensando che per motivi diversi, quella decisione faceva anche per me. Ma se poi la motivazione decade? Se la persona che rinasce ha molti aspetti positivi ma non riflette la complessita' del tuo profondo? Se la vita che hai ri-creato e' andata bene per un po' ma poi ha perso la direzione? Se gli strumenti che hai in mano non sono sufficienti a sentirti libero di ri-pensarti?

Il punto e' proprio qui: per ricominciare, per avere una nuova reale opportunita' e ripensare la propria vita, si dovrebbe essere equipaggiati a dovere. Cio' significa essere PRONTI per il salto ed essere pronti significa per ognuno una cosa diversa: per alcuni e' essere preparati da un punto di vista linguistico-culturale, per altri e' essere innamorati alla follia, per altri e' istinto etc. Per questo, spesso le persone che ritrovano loro stesse attraverso un'esperienza all'estero, sono persone che hanno avuto l'impulso e l'attrazione per quella terra e quella terra gli ha regalato la cosa piu' bella, una nuova vita.

Io ho costruito una nuova vita all'estero che mi ha dato tanto, tanta piu' soddisfazione e ricoscimento di quanto riuscissi ad averne in Italia ma se mi guardo allo specchio so che qualcosa non va e non va perche' io non riesco a pensarmi lbera di intraprendere qualsiasi strada e non ci riesco perche' ho la consapevolezza di avere l'enorme limite linguistico a frenarmi e ad impedirmi di sfruttare tutte le mie capacita'. Conosco avvocati, architetti, giornalisti tutti italiani che qui si arrangiano come possono e fanno quel che POSSONO ma non quel che avrebbero voluto davvero ossia non sono riusciti ad esercitare la loro carriera. Perche' se e' vero che l'estero ti offre l'opportunita' di ricominciare e' pur anche vero che ti mette di fronte ad un repertorio limitato di scelte.
Se hai fortuna, come tanti hanno, in quel repertorio trovi la tua melodia, se invece la tua la' dentro non ci sta, suonerai un tema che seppur armonico non dara' voce alla tua anima.

22 marzo 2012

PARLARE O NON PARLARE

Questo e' il problema.

Ieri ho passato un'ora al telefono con mia sorella parlando di questa impressione che ho da anni, tanti sono quelli che ho passato all'estero e che riguarda la percezione del se' e la percezione dell'altro nel momento in cui ci si esprime in una lingua altra rispetto alla propria. Oggi Nemo presenta un post che affronta la questione e non mi bastava un commento per rispondere (e poi non ho risolto il problema dei commenti, uffa!).

Il linguaggio ha una capacita' costruttiva in senso materiale: parlando costruiamo intorno a noi edifici di parole che creano un'immagine precisa di quello che diciamo e di noi. Gia' la scelta di un tema e poi dei vocaboli, da' un'idea di chi siamo; il nostro accento, dialettale o meno, i difetti di pronuncia e infine il senso di quello diciamo, il senso immediato e il senso nascosto, il sottotesto che si compone attraverso la rielaborazione di tutte le informazioni messe a nostra disposizione e poi filtrate attraverso il nostro sostrato culturale e anche una buona dose di inconscio. Pensate alle persone che avete intorno e a come parlano, e' o non e' il loro modo di parlare uno specchio, se volete non esaustivo ma pure preciso di loro stessi? Perche' il linguaggio si forma con noi, ci porta sempre un po' piu' in la' nella crescita: acquisendolo da piccoli, conquistiamo la prima forma di indipendenza e quindi la capacita' comunicativa; poi nell'eta' scolare, forgia le nostre capacita' espressive e sul lavoro ad esempio quelle diplomatiche; in famiglia e nelle relazioni, quelle relazionali e cosi' via.

Provate ora a concentrarvi su questo splendido castello messo su in anni di crescita, un'ossatura-impalcatura linguistica che vi sostiene e vi da' sicurezza perche' in quella vi riconoscete.

Cosa significa perderla? Cosa comporta farne a meno? Come si compensa questa mancanza? Cosa ne esce di noi? Che immagine restituiamo?

Non e' la prima volta che parlo di questo argomento perche' per me ha un'importanza primaria.
Io non sono io quando parlo in tedesco. Almeno identificando il mio 'io' in quello italofono.
Di questo sono certa e nemmeno quando parlo inglese o francese o spagnolo. E chi sono io allora? Di me passa tutto il non verbale, che gia' e' qualcosa, ma anche il non verbale e' condizionato dal verbale, perche' quando ci si esprime e si hanno per qualche motivo, difficolta' linguistiche, il corpo esprime il nostro disagio e quello che viene percepito e' un'immagine di insicurezza che pero' non avrebbe niente a che vedere con la realta': quello che volevate dire e' chiaro e completo nella testa ma rielaborato in un'altra lingua subisce inevitabili trasformazioni, da un primo processo di semplificazione, se va bene, a un possibile impoverimento, a interruzioni, pause non idonee a balbettii e nei casi peggiori, arriva al silenzio, ossia al fallimento del tentativo. Accantonando la terribile frustrazione che si prova, che gia' di per se' e' motivo di scoraggiamento, rifletto su quanto distorta e' l'idea che ho dato di me.

L'anno scorso a un workshop sulla tecnica Alexander che conosco abbastanza, volevo intervenire, partecipare e l'ho fatto, perche' io sono cosi', spontanea, ma sono sicura che di quel che intendevo comunicare sia passato un 30% massimo di contenuti. Io so cosa so e cosa volevo dire ma cio' che non e' detto, o non e' detto come si deve, non e' detto, o al massimo, e' detto male e nella migliore delle ipotesi, e' detto senza appeal e specie chi non ti conosce, non avra' certo potuto intuirlo tutto quello che ti passava per la testa davvero.

Pensate a un attore che si dimentica la parte nel bel mezzo di un monologo e avrete il paragone giusto. Eppure le parole del monologo sono bellissime. Pensate ora invece, a quanto e' affascinante la parola detta bene.

Quando si vive all'estero ci si scontra a pelle nuda e molle con le sana e robusta ossatura di chi qui ci vive da sempre e magari non ha mai pensato a quanto sia difficile farne a meno.
Ne nasce incomprensione, sottovalutazione e nei casi peggiori emarginazione. Triste ma vero.
Poi ci sono le storie belle, dei piu' forse, che lottando hanno piallato quello scalino e ora non lo sentono piu'. Ma quanta fatica costa arrivare la'?

12 marzo 2012

Fase Medi(t)ativa

Sabato scorso ci hanno chiesto di fare una piccola performance di tango in occasione di una conferenza sul tema: mediazione dei conflitti. Mi e' parso un ottimo esempio quello del tango che e' per eccellenza, il ballo delle parti, in cui, sintenticamente, rispettando i propri ruoli si arriva all'armonia che non e' prevalenza dell'uno o dell'altro ma il risultato di un dialogo, non verbale e nel caso specifico, coadiuvato dalla musica. Abbiamo gia' fatto piccole performance nelle piu' disparate occasioni come il centenario del giardino botanico, la fiera delle specialita' culinarie sudamericane etc., questa pero', mi e' sembrata la piu' sensata, la piu' azzeccata e credo che all'interno della risoluzione di conflitti, soprattutto di coppia, il tango possa giocare un ruolo.
In fase di mediazione, si ascolta, si riflette e si mette in dubbio la propria posizione. In questo periodo mi sento molto in fase medi(t)ativa e malgrado siano successe tante cose, fuori e dentro, mi e' piaciuto ascoltare, senza nemmeno commentare (e questo onestamente non proprio per scelta!), quanto dicevano gli altri e si'! non avere proprio niente da dire.