« Preferisco un fallimento alle mie condizioni che un successo alle condizioni altrui »

(da "Tom Waits, Blues" di C. Chianura)

02 aprile 2012

GLEIS 11

Il binario 11 alla Haupbahnhof di Monaco e' IL binario. Qui sono arrivati pieni di speranze, dubbi, sogni, paure e tanto coraggio tutti i Gaestarbeiter italiani; la forza-lavoro italiana a basso costo che ha ricostruito la Germania dal dopoguerra in poi. Da li' e' iniziata la storia dell'immigrazione italiana in Baviera fatta di poverta' e condizioni difficili chiuse nella famosa valigia di cartone e da li' queste persone hanno costruito la loro alternativa: qualcuno qui c'e' rimasto per sempre e qualcuno se n'e' ritornato al paesello dove finalmente si era potuto anche comprare qualche mattone. Ieri ho visto un documentario che parlava proprio delle storie degli immagrati italiani, vecchi e nuovi, ognuno diverso dall'altro, ognuno con la sua storia ma tutti con una gran voglia di raccontarla. Dalla valigia di cartone, la nuova generazione di migranti e' passata al laptop e li' tiene il suo mondo di ricordi e di contatti oggi sicuramente molto piu' facile da mantenere vivo, Gott sei dank. Non e' il primo documentario che vedo perche' l'Italia ha forse piu' cittadini all'estero che in Italia, malgrado spesso ci se ne dimentichi. Sentendoli parlare tra lacrime e risate e' palese come tutti parlino delle stesse cose: la mancanza del mare, della terra, dei profumi, la sofferenza per la mancanza di luce, per la lingua diversa, per la mentalita' diversa. In qualunque luogo si siano ritrovati dall'Argentina, al Canada, alla Germania, di questo si parla e la nostalgia si tinge di amarezza, inevitabilmente.

Amaro come la lontanza.
Amaro come la discriminazione subita.
Amaro come sentirsi dimenticati.

Chissa' se questo vale solo per gli italiani o anche che so...i tedeschi emigrati. Portano dentro anche loro le stesse sensazioni? Sarebbe interessante paragonare le emigrazioni tra loro. Ascoltando talvolta sulle spiagge le storie dei senegalesi, dei nigeriani ho avuto la stessa impressione ma anche parlando nel mondo con turchi, iracheni, persiani, argentini...Ma mai ho sentito le stesse parole chiave uscire dalla bocca di un inglese, di un americano o di un australiano. Azzardo una frontiera tra nord e sud, culturale piu' che geografica ma qui lo dico: gradirei smentita.

Quello che poi invece distingue le storie e' la reazione a tutto cio': ci si puo' lottare contro tutte le difficolta' fatte di incomprensione, diversita' etc etc e far quindi in modo di andaresene prima che si puo', o si puo' invece accettarle e pian piano imparare ad amare quello che ci circonda in modo da farlo diventare anche nostro. Per quanto non 'nostro' allo stesso modo. Per molti il posto 'altro' dove tanti anni fa sono arrivati e' diventato 'casa' e l'Italia e' il posto delle vacanze, ne' piu' ne' meno di quello che e' per molti tedeschi autoctoni. Non credo che ad ogni modo si possa lottare o meglio fare resistenza alla vita che vivi, anche tuo malgrado, a oltranza; sarebbe solo energia sprecata e non ne vale certo la pena. Certo che guardare questi documentari e' per me come guardare in una sfera di cristallo e il futuro che mi si palesa davanti non mi persuade affatto e per questo sono ancora al bivio della scelta. Quello che forse contraddistingue nel profondo quei lavoratori e noi cervelli e annessi in fuga e' la precarieta' insita nelle posizioni di lavoro di oggi non solo in Italia ma in tutta Europa. Se la precarieta' si fa' anima non si puo' mai essere pronti a scegliere o almeno si sceglie solo nella comprovata consapevolezza che niente e' per sempre. Limbo senza fine?

Chi ha voglia qui il trailer del documentario:
http://www.youtube.com/watch?v=54gvtL0aCNo

1 commento:

fabio r. ha detto...

bel documentario, veramente, grazie per la segnalazione, proverò a chiederne una copia.... !